Un racconto di Eliver
[Questo racconto è stato ispirato dai Worlds Hunters – http://www.worldshunters.com]
Nella Virtual-Rete, Rue e Albert se ne stavano stretti su una spiaggia tropicale a guardare le stelle, lei nel garage sotterraneo di un palazzo della City, lui in un seminterrato della Periferia.
– Oggi ne abbiamo persi altri dodici – mormorò lei, con un groppo alla gola. – Anche i Giardini Perduti di Apollo, alla fine, se ne sono andati.
Nel mondo fisico, la giovane hacker si aggiustò il nuovo impianto visore sugli occhi, trattenendo a stento una lacrima. I Giardini avevano un significato speciale per loro due e l’idea che fossero andati perduti per sempre le faceva davvero male.
– Oh… – disse Albert, con un sospiro di tristezza, poi aggiunse: – Ma quanti ne avete salvato?
– Quattro. Soltanto quattro – rispose Rue, ripensando a quanta fatica fossero costati quei pochi salvataggi a lei e al manipolo di virtual-surfer con cui aveva iniziato a collaborare da quando la Virtual-Rete era entrata in Recessione.
Si erano autodefiniti Worldsavers, salvatori di mondi, ma i mondi che riuscivano a salvare – servendosi di un programma illegale di backup che avevano sviluppato collettivamente – erano davvero poca cosa rispetto a quelli che, ogni giorno, venivano spenti senza preavviso, cadendo per sempre nell’oblio elettronico.
– Accidenti – mormorò Albert, partecipe del suo senso di frustrazione. – Se solo riuscissimo a conoscere in anticipo le coordinate dei mondi in lista d’attesa per lo shutdown, o avessimo un sistema di backup più efficiente, forse potremmo salvarne qualcuno in più!
Sentendo quelle parole, Rue non riuscì a reprimere un piccolo sorriso.
Albert aveva parlato al plurale, annoverandosi per la prima volta nei Worldsavers, e lei non poteva che esserne felice. Non solo Albert Littlewall era il suo virtual-compagno da quasi un anno, ma quando era collegato a una consolle della Virtual-Rete era anche incredibilmente in gamba. Averlo dalla loro parte sarebbe stato un vero salto di qualità.
Accettando con gioia quella implicita offerta, Rue gli chiese, speranzosa:
– Che cosa hai in mente?
– Lascia fare a me – rispose lui, con un sorriso complice.
E la strinse più forte a sé.
***
La Virtual Network Authority gestiva la Virtual-Rete come un feudo: il fatto che i mondi girassero sui server delle aziende che li avevano creati non cambiava la sostanza. Ciascun proprietario, per mantenere la concessione annuale sul terreno che utilizzava, doveva sborsare alla VNA cifre davvero molto alte. La chiamavano tassa di concessione governativa e stava strangolando la Virtual-Rete.
I primi ad andarsene erano stati i mondi creati con finalità culturali, difficilmente giustificabili in un bilancio che tendeva verso il rosso: ancor prima di capire che cosa stava succedendo, Roma Antica, Pompei e Atene erano andate perdute.
Poi, via via che i cordoni della borsa si stringevano, era iniziato lo spegnimento progressivo dei quartier generali aziendali, i centri commerciali, le zone di intrattenimento e di gioco. Così erano scomparse Softown e Amsterdam, per dire citare soltanto i mondi più importanti, ma a leggere i giornali sembrava che non fregasse a nessuno. Tutti parlavano della Recessione, sì, ma quella del mondo fisico.
Il business nei mondi virtuali aveva smesso di interessare i media, e David Xander, come era tipico degli uomini come lui, abili a barcamenarsi in cattive acque, ne stava approfittando. Lontano dai media, lontano dagli occhi indiscreti delle autorità.
Mai come in quel momento, la Virtual Rete era stata terreno fertile per il ramo più nascosto e remunerativo della sua azienda.
***
Nello Spazio Personale di Albert, Rue aspettava con impazienza che il suo compagno finisse di compilare il nuovo software CloneBot acquistato sul mercato parallelo cinese e modificato espressamente per i Worldsavers. Non era stato facile ottenerlo e adattarlo: clonare un mondo virtuale, anche se per preservarlo dalla cancellazione, era comunque un reato grave – violazione dei diritti d’autore – e per questo i CloneBot erano banditi dal commercio del software autorizzato. Per loro fortuna, i cinesi non avevano firmato l’accordo mondiale di tutela dei diritti digitali e nei loro negozietti disordinati si poteva acquistare veramente di tutto, se si conoscevano le persone giuste. E Albert, al contrario di Rue, le conosceva: era uno dei pochi privilegi che gli derivavano dal fatto di lavorare per il Kranio, un piccolo boss della malavita locale che viveva di espedienti, ronzando intorno alla Mafia e alle Multinazionali come una lampreda intorno a un branco di squali.
– A che punto sei? – gli chiese, affacciandosi oltre la sua spalla per osservare il monitor su cui Albert stava lavorando. Ne capiva abbastanza per accorgersi che non mancava molto. Un’ora più tardi ci sarebbe stata una riunione del gruppo e Rue non vedeva l’ora di dire agli altri che Albert era finalmente dei loro.
– Ancora un paio di minuti – rispose lui, concentrato. Poi aggiunse: – Hai il landmark per la riunione?
Rue stava per richiamare l’icona della sua raccolta di coordinate, quando all’improvviso un messaggio di notifica lampeggiò violentemente sul bordo del suo campo visivo. Era Hawk, il fondatore dei Worldsavers, sul canale privato d’emergenza del gruppo. Rue attivò la comunicazione a distanza.
– Cosa succede, Hawk? Sei in anticipo – gli disse, un po’ seccata, ma lui la interruppe.
– Abbiamo una situazione di emergenza, Rue. Stiamo perdendo Camelot!
Rue spalancò gli occhi per la sorpresa e per un attimo la sua visione virtuale si deformò.
– Ma non è possibile – balbettò, incapace di credere a quello che sentiva. – La ElectricWorlds aveva detto di aver trovato un finanziatore disposto…
Hawk la interruppe un’altra volta.
– Rue, forse non hai capito. Hanno già dato il comando di shutdown. Abbiamo quattro minuti e mezzo per fare il backup – le disse, in tono concitato.
– Oh, cazzo… – mormorò Rue, perfettamente consapevole che non sarebbero mai riusciti a salvare tutte le strutture. Quattro minuti erano davvero troppo pochi.
– Muoviti! Ci vediamo lì. – disse lui, chiudendo la comunicazione.
***
Qualche secondo più tardi, Albert, che non aveva potuto sentire quella conversazione privata, vide Rue smaterializzarsi all’improvviso dal suo Spazio Personale senza una parola, e iniziò a preoccuparsi. Considerò la possibilità di raggiungere Rue – era uno dei pochi utenti della Virtual-Rete in grado di farlo, perché lei glielo permetteva – ma poi decise che era più importante portare a termine la compilazione del nuovo CloneBot. Dopotutto, la sua anima gemella virtuale clonava mondi morenti da mesi senza il suo aiuto ed era perfettamente in grado di badare a se stessa. Inoltre, Hawk era uno tosto.
Ma mentre le righe di codice del CloneBot si rincorrevano sul monitor, Albert non poté fare a meno di rabbrividire al pensiero di Rue e i suoi compagni d’avventura che venivano scollegati brutalmente dalla Virtual-Rete, nell’istante in cui il server dove girava il mondo che volevano salvare si fosse spento per sempre.
Qualcuno si era ripreso da quel tipo di trauma.
Molti, invece, si erano fritti le sinapsi.
***
La vista di Camelot dall’alto era mozzafiato.
Appena materializzata, Rue si librava senza peso nel cielo azzurro sopra la ricostruzione della leggendaria capitale di Re Artù, realizzata da una delle più quotate art-chitect della Virtual-Rete. La prima volta che l’aveva visitata, era rimasta a bocca aperta davanti alla perfezione dei dettagli, dalle mosche che ronzavano sugli arrosti della sala dei banchetti alla lucentezza del pelo dei cavalli che masticavano la biada nel grande cortile centrale. Ogni animazione, ogni riflesso di quella creazione comunicava l’amore dell’abile costruttore che l’aveva plasmata a partire dagli atomi elettronici della Virtual-Rete. Al pensiero che tanto amore e tanto lavoro si perdessero per sempre a causa di una cartella esattoriale non pagata, Rue sentì ancora una volta quel familiare moto di rabbia che l’aveva portata a unirsi ai WorldSavers.
Ansiosa di entrare in azione, planò silenziosamente verso le torri del castello, quindi inviò a Hawk un breve messaggio di intesa. Era pronta a mettere in atto la loro pluricollaudata strategia di backup.
Non aveva ancora raggiunto la sua posizione quando a entrambi giunse, accompagnato da un rombo di tuono, il messaggio del server che li avvisava di sloggiare, perché in quattro minuti esatti il mondo in cui si trovavano avrebbe fatto shutdown, smaterializzandosi e buttandoli fuori dalla Virtual Rete.
– Dobbiamo fare in fretta – esclamò Hawk, planando verso l’angolo più lontano dove la simulazione si interrompeva, sfumando in un fondale di montagne innevate.
Anche Rue si portò in posizione, materializzando in aria un primo sensore, poi un secondo e quindi un terzo, al centro della simulazione. Quando ebbe finito, guardò l’orologio: mancavano poco più di due minuti allo shutdown.
– Hawk, hai finito? – chiese al suo collega, sul canale privato del gruppo.
– Sto piazzando l’ultimo sensore – rispose lui, calmo. – Preparati a sincronizzarli.
Rue attese qualche secondo, poi lanciò lo script di sincronizzazione.
I sensori iniziarono a comunicare in background, costruendo una griglia di riferimenti in cui salvare il layout della simulazione di Camelot. Poi iniziarono il backup vero e proprio. Ma il processo era lento. Troppo lento.
Per fare un backup decente ci sarebbero voluti almeno 10 minuti, e loro ne avevano poco più di due.
– Mi sa che non ce la facciamo. Salviamo il salvabile e leviamo le tende, bello.
In lontananza, si udì nuovamente il rombo del tuono.
Due minuti allo shutdown.
***
Il CloneBot era compilato, caricato inworld e pronto a essere lanciato.
Albert, con una nostalgia un po’ retrò, l’aveva caricato in un oggetto virtuale plasmato nelle forme di un vecchio libro dalla copertina in pelle. L’unico dettaglio che tradiva la vera essenza dell’oggetto era il titolo, pressato a fuoco nella pelle scura: diceva “Touch to initialize”. E per Albert era finalmente arrivato il momento di metterlo alla prova.
Provò a contattare Rue sul loro canale voice personale, ma non ottenne risposta: la sua compagna era in busy mode, perché quando lavorava con i WorldSavers non voleva essere disturbata. Visto che non aveva nessun altro modo per contattarla – a parte forse farle squillare il telefono nel furgone che la giovane donna chiamava casa – decise che avrebbe rischiato di farla arrabbiare: aprì il landmark per Camelot e la raggiunse.
***
Trace active – User: Barney Rubble
Rue lesse quel messaggio di notifica con enorme sorpresa e un vago senso di fastidio.
Aveva dato ad Albert l’autorizzazione a tracciare i suoi spostamenti sulla griglia della Virtual-Rete, ma l’aveveva fatto assai malvolentieri: credeva fermamente nel diritto alla privacy ma soprattutto, quando lavorava per il suo capo, il ricco finanziere David Xander, non poteva lasciare tracce di sé e delle sue operazioni. Sapere che qualcuno, per quanto fidato come Albert, potesse vedere la sua posizione in ogni istante la faceva sentire spiata e mai veramente libera. Ma alla fine aveva accettato, un po’ per non offendere il suo compagno, un po’ perché le sue motivazioni dietro quella richiesta non erano del tutto sbagliate: se le fosse successo qualcosa, avere addosso l’equivalente di un localizzatore satellitare avrebbe potuto fare la differenza tra un cervello sano e un cervello fritto.
E, doveva ammetterlo, Albert non aveva mai abusato di quella concessione: Rue teneva sempre attivo uno script in grado di mostrarle se qualcuno la stava tracciando, e Albert non l’aveva mai fatto. Mai prima di allora.
Non fece in tempo a uscire dal busy mode per chiedere spiegazioni che Albert si materializzò a pochi centimetri dalla sua testa, sopra di lei.
– Albert! Che cavolo ci fai qui? – esclamò, con una punta di allarme nella voce. –Camelot ha iniziato la procedura di shutdown!
Albert la guardò per un attimo negli occhi e qualcosa, nel suo sguardo, la rassicurò.
– Quanto manca? – le chiese, mentre con le mani richiamava uno script dalla sua libreria.
– Un minuto e mezzo – rispose Rue, senza capire.
– Ottimo – esclamò Albert. Tra le mani, ora, reggeva un antico libro di carta. – Avremo circa trenta secondi per tagliare la corda.
Quindi appoggiò il libro sul pavimento di pietra della torre e le disse:
– Toccalo.
Rue allungò un dito per sfiorare la pelle rugosa della copertina e l’oggetto si animò di un vortice di particelle color arcobaleno, che si diffusero prima intorno a loro e poi in tutta la simulazione come milioni di moscerini elettronici.
Con milioni di occhi.
***
Il CloneBot modificato da Albert lanciò le sue microsonde nella simulazione, e ciascuna iniziò a trasmettere coordinate, posizioni relative e proprietà delle primitive che incontrava. Milioni di frammenti di backup della simulazione di Camelot vennero caricati quasi istantaneamente, sfruttando un complesso sistema peer to peer che si appoggiava a una rete di server pirata sparsi in tutto il mondo. Una volta terminato il processo di clonazione, lo script contenuto nel libro avrebbe salvato gli ID di tutti i frammenti, andando a recuperarli sui server e ricomponendo l’immagine integrale della simulazione.
***
L’avevano soprannominata scherzosamente “Magazzino 13” ed era la sede virtuale itinerante del loro gruppo. Si materializzava nella Virtual Rete in quegli interstizi di spazio lasciati inavvertitamente aperti dai proprietari, seguendo un preciso algoritmo temporale di cui solo gli altri worldsavers avevano la chiave. Più che nello spazio, il Magazzino 13 esisteva nel tempo. Non esisteva un landmark per arrivarci – l’algoritmo lo generava su richiesta e un segnale sincronizzato materializzava la sede nel punto prescelto, al momento fissato.
Albert ne aveva sentito parlare molte volte da Rue, ma era la prima volta che vi aveva accesso e che poteva vedere con i suoi occhi ciò che vi era custodito. Dietro la sala riunioni arredata con bizzarro gusto steampunk, dietro una pesante porta di legno e ottone lucidato, si apriva una sorta di balcone in ferro battuto che si affacciava uno spazio nero enorme, un abisso insondabile in cui fluttuavano fuori dal tempo tutti i backup zippati dei mondi che i Worldsavers avevano salvato in quegli ultimi otto mesi. Forme colorate e cangianti, ordinate secondo un algoritmo che – se mai qualcuno avesse deciso di fare un restore generale – avrebbe rimaterializzato quei mondi rispettando le esatte posizioni relative originarie.
Hawk e Rue, fisicamente e psicologicamente provati dalla missione di salvataggio in extremis appena conclusa, si avvicinarono al vuoto nero e, con grande cautela, materializzarono il backup zippato di Camelot sul ciglio dell’abisso. Una riga di codice e dal vecchio libro uscì una sfera color perla dai riflessi arcobaleno, che si mosse – prima lentamente poi sempre più veloce – per prendere il suo posto tra le altre.
Lì dentro sarebbe stata al sicuro, insieme alle altre centinaia di mondi che avevano salvato, fino a quando qualcuno, nelle alte sfere, si sarebbe finalmente accorto dell’idiozia che la VNA stava perpetrando, e fosse intervenuto per mettere fine alla Recessione.
Quel giorno, Camelot sarebbe risorta in tutta la sua bellezza.
© Elisabetta Vernier – 2009 (Tutti i diritti riservati)
Pingback: Eliver’s Blog » Recessione - Un racconto dolceamaro su SL
Pingback: Benvenuto al MAZE - Larp Italia