La maledizione di Hyk-pAagh

Una fanfiction semiseria su Star Trek: The Next Generation
di Elisabetta Vernier

Geordie LaForge era rimasto completamente a secco di idee. Il tenente comandante Data sedeva di fronte a lui nel laboratorio cibernetico, in preda a un inspiegabile malfunzionamento che ormai da ore impediva al pallido androide di esercitare la sua funzione di secondo ufficiale della USS Enterprise, nave ammiraglia e orgoglio della Flotta Stellare.
– Mi dispiace, Data – disse il giovane ingegnere capo, nascondendo l’imbarazzo dietro il suo VISORE, l’apparecchio metallico che restituiva la vista ai suoi occhi, ciechi dalla nascita. – Non so proprio cosa fare. Non mi viene in mente niente, ho il cervello di pastafrolla…
Incominciò mestamente a scollegare la rete di cavi ottici che avvolgeva il cranio e il busto nudo di Data come un bozzolo multicolore, quando all’improvviso l’androide sobbalzò e il suo viso, solitamente impassibile, si contrasse in un rictus di sorpresa. Se Data non fosse stato un essere incapace di provare emozioni umane, si sarebbe potuto pensare che l’androide fosse sul punto di scoppiare a piangere. Dalla sua bocca uscì un verso stranissimo. qualcosa che ricordava il rumore di un tappo che saltava da una bottiglia di champagne.
– POP!
Geordie cercò invano di conservare un’apparenza seria ma le sue labbra generose si rifiutarono di obbedirgli, increspandosi ai lati; Data lo guardò con fare quasi supplichevole e disse:
– Ti prego, Geordie… Facciamo ancora un ultimo tentativo. Ci resta ancora da provare ad invertire il flusso di liquido refrigerante dalla cavità principale a quella secondaria.
LaForge lo ascoltava poco convinto e l’androide continuò:
– Una diminuzione della pressione differenziale ai due lati del diaframma permetterebbe una più semplice degasazione del condotto C, eliminando gli spasmi involontari.
– Sai che una troppo rapida degasazione del refrigerante potrebbe bloccarti le facoltà motorie e danneggiarti in modo permanente, vero? – disse l’ingegnere, preoccupato per la “salute” del suo collega e amico cibernetico, ma Data era molto sicuro di sé e non intendeva lasciare nulla di intentato.
– Facciamolo – disse.
Geordie guardò negli occhi dorati l’amico e, come tante volte prima di allora, decise che avrebbe intrapreso quell’ultimo disperato tentativo.
– Va bene, proviamoci – disse e richiamò sullo schermo della consolle i piani costruttivi di Data. Quindi cominciò a tastare delicatamente la liscia pelle sintetica dell’androide lungo lo sterno, cercando il microscopico meccanismo di apertura dei pannelli toracici.
In quel momento il corpo di Data si contrasse sotto le sue mani, quindi si rilassò con un forte tremito; con un immenso sforzo Data riuscì a non emettere alcun suono percettibile.
Geordie si riavvicinò e, aperta la cassa toracica dell’amico, iniziò la delicata manovra di inversione del flusso; lavorò per quasi un’ora, interrompendosi a intervalli regolari, quando Data stesso gli riferiva l’imminenza di un nuovo evento motorio involontario.
Quando tutto fu finito LaForge richiuse il petto dell’androide e aspettò trepidante lo scadere dei fatidici quarantasette secondi, il tempo medio calcolato da Data che separava due eventi successivi.
– Geordie…- disse Data. – Credo che ci siam… POP!
Data chiuse la bocca mentre il suo corpo si contraeva contro la sua programmazione.
– Oh, no! – esclamò LaForge, passandosi una mano sul volto, sconfitto.

Data sedeva mesto sul lettino medico della dottoressa Crusher, a torso nudo. Il medico l’aveva esaminato in lungo e in largo con il suo tricorder, in cerca della causa dell’inspiegabile malfunzionamento, ma la sua espressione ricordava molto da vicino quella dell’ingegnere capo.
– Non credevo che fosse possibile – disse la dottoressa, quasi scusandosi. – Insomma, se fosse umano saprei come curarlo, ma con un androide le cose cambiano! I tre ipospray calmanti che gli ho fatto avrebbero fatto addormentare anche un elefante!
– Un ele…che? – chiese La Forge ma fu interrotto dal sobbalzo di Data, che si contrasse e si rilassò ancora una volta.
La dottoressa lo guardò ma non riuscì a dire altro che: – Non ci posso credere…-
Quindi li congedò.

Geordie cominciava a perdere le speranze. Se la tecnologia e la medicina del ventiquattresimo secolo avevano fallito, cosa restava? Improvvisamente una luce si fece strada nel suo cervello sovraffaticato: la psicologia! Forse la psicologia avrebbe risolto la situazione. Sebbene l’applicare una scienza così tipicamente umana a un androide potesse parere strano, niente era comunque più strano di quello che stava accadendo al suo amico Data.
Toccando leggermente il comunicatore che portava sulla giacca dell’uniforme, LaForge disse:
– LaForge a consigliere Troi.
La voce suadente di Deanna Troi rispose dopo qualche secondo.
– Qui Troi. Cosa succede, Geordie? – Era un’ora insolita per chiamare il consigliere di bordo.
– Ha un attimo libero, consigliere? Vorrei sottoporle un caso quantomeno… bizzarro.
– Mi raggiunga pure nel mio alloggio, Geordie. La aspetto.
Il consigliere di bordo era una donna molto curiosa.

Data sedeva mesto sul divano color pastello nell’alloggio del consigliere e Deanna lo fissava da una poltrona di fronte a lui, sfoggiando il suo atteggiamento più professionale.
– Ti sei accorto di qualcosa di insolito prima che il malfunzionamento avesse inizio? Qualcosa che può aver interagito in modo impensato con i tuoi percorsi positronici?
– No, consigliere. Le mie mansioni sono state assolutamente regolari in questi ultimi giorni, prima che tutto cominciasse. Come sa, io non reagisco secondo gli schemi umani agli input sensoriali e non ho reazioni di tipo emotivo…- Data non avrebbe voluto smontare ogni ipotesi della donna, ma non poteva farne a meno e ogni secondo che passava gli pareva di essere sempre più lontano dalla soluzione del suo problema.
Anche Deanna, dopo quasi un’ora di tentativi andati a vuoto, cominciava a dare segni di stanchezza, mentre Data continuava a contrarsi sotto i suoi occhi esattamente ogni quarantasette secondi.
– Mi dispiace, Geordie – disse Troi. – Non ho mai visto niente del genere. Onestamente non credevo nemmeno che fosse possibile.
Data sobbalzò e si contrasse, in silenzio, quindi disse:
– Non si preoccupi, consigliere, troveremo una soluzione.
Quindi si alzò e si diresse verso la porta, seguito da LaForge che bisbigliò tra se: speriamo…

Il capitano Jean-Luc Picard fu distratto dalla sua assorta lettura di Shakespeare dall’insistente cicalino della porta del suo ufficio. Posò controvoglia il libro, uno dei pochi veri libri esistenti a bordo della nave, e disse:
– Avanti!
LaForge e Data oltrepassarono la soglia della stanza ma, prima che Geordie riuscisse ad aprire bocca per spiegare al capitano il motivo della loro visita, l’orologio interno di Data scandì il fatidico quarantasettesimo secondo e l’androide sobbalzò emettendo un sonoro “POP!” che scosse la sua intera struttura di lega di duranio.
Geordie aprì la bocca per scusarsi ma il capitano sollevò una mano verso di lui e disse:
– Non dica nulla, LaForge. Ho capito – e si diresse risoluto verso il replicatore alimentare.
– Earl Grey caldo, molto dolce, molto limone – chiese alla macchina e una tazza fumante si materializzò sulla superficie trasparente incassata nella parete della stanza. Picard si affrettò a porgerla a Data, che lo osservava con sguardo interrogativo, senza capire il fine delle azioni del capitano.
– E’ un rimedio che usava sempre mia zia Adele sulla Terra, Data – confessò il capitano con un sorriso. – Ha curato generazioni di Picard dallo stesso suo problema…
Data accettò la tazza con rassegnazione e ne buttò giù il contenuto rovente in un unico sorso. Il suo stomaco sintetico accolse il tutto con un leggero borbottio e tutti attesero con il fiato sospeso l’effetto della magica pozione di zia Adele.
Geordie scandiva mentalmente i secondi, per nulla convinto dell’efficacia dell’antico rimedio.
– …quarantaquattro… quarantacinque… quarantasei…
– POP!
– Quarantasette.
LaForge si voltò per non guardare il fiotto di the bollente che dalla bocca di Data si riversava sulla moquette immacolata dell’ufficio del capitano.
– Oh, mio Dio… – mormorò Picard, esterrefatto. La sua flemma restò immancabilmente al suo posto. Data cominciò a balbettare frasi di scusa ma Geordie lo prese per un braccio e lo portò via, mentre con l’altra mano attivava il comunicatore per richiedere una squadra di pulizia per la moquette.
Picard non aggiunse altro e tornò alla sua lettura.

Data sedeva mesto al Bar di Prora, tra Geordie LaForge e il tenente Worf, il capo della sicurezza della nave. Quest’ultimo lo scrutava attentamente in attesa di assistere all’evento successivo, che non si fece attendere più dei soliti quarantasette secondi.
– POP!
– Non c’è alcun dubbio – sentenziò Worf, scuro in volto. – Si tratta della Maledizione.
I Klingon prendono sempre tutto molto sul serio e anche in questo caso Worf non faceva eccezione: il tono che aveva usato pareva una sentenza di morte.
– Ma che dice, Worf! – cercò di sdrammatizzare LaForge. – Sono d’accordo che quel che è capitato a Data si possa considerare un evento talmente raro che ha dell’inverosimile, ma parlare di “maledizione” mi pare davvero troppo…
– Non ha capito, signore. Non si tratta di una maledizione, ma della Maledizione di Hyk-pAgh! Colpisce il guerriero che ha perso il sangue freddo in battaglia, in modo che non possa più combattere arrecando disonore a se stesso e alla propria famiglia.
Data si rianimò il tanto da chiedere:
– Esiste un rimedio tradizionale contro questa maledizione?
Il Klingon rimase pensoso per qualche secondo poi disse:
– Si. Uno ci sarebbe… Ma non credo che…
Data lo interruppe:
– Qual è? La prego, tenente, me lo dica. E’ molto importante.
Worf espirò rumorosamente e disse:
– Il suicidio rituale.
– Come non detto, tenente. Grazie! – disse LaForge, ormai sull’orlo della disperazione. – Ci scusi… –
E senza nemmeno far finta di terminare il loro drink, Geordie e Data lasciarono sconfitti il Bar di Prora e si diressero verso i rispettivi alloggi, sperando che la notte avrebbe portato loro il proverbiale consiglio.

Il comandante Riker, primo ufficiale della USS Enterprise, sedeva in plancia, annoiato dalla monotonia di un tranquillo turno di notte. Aspettava con ansia che qualcuno lo venisse a sostituire e dato che mancavano ormai solo pochi minuti alla fine del turno, decise di alzarsi dalla comoda poltrona del capitano per sgranchirsi le gambe. Cominciò a passeggiare su e giù per la plancia debolmente illuminata, sopprimendo gli sbadigli che cercavano di scalfire la sua immagine di ufficiale inossidabile.
Ancora un minuto, un minuto solo… , pensò.
Dopo esattamente sessanta secondi le porte del turboascensore si aprirono ed il tenente comandante Data fece il suo ingresso in plancia, dirigendosi con passo scattante verso la poltrona di comando e verso Riker.
– Comandante Riker, sono qui per sostituirla – disse, impassibile come sempre.
Riker rimase per un attimo senza parole. L’Enterprise era una nave grande ma quando si trattava di pettegolezzi diventava più piccola di un runabout: la notizia del malfunzionamento di Data si era sparsa con velocità epidemica e Riker non si aspettava certo di vederlo in plancia poche ore più tardi, apparentemente perfetto, a chiedere di assumere il comando della nave.
– Ma… Data, è sicuro di sentirsi bene? – chiese, titubante.
– Funziono entro i parametri prestabiliti, signore.
Riker insistette:
– Ho sentito che ha avuto un problema, un malfunzionamento abbastanza grave…
– Ha sentito bene, comandante, ma le assicuro che ora è tutto a posto.
– E’ sicuro di essere perfettamente funzionante? – Riker non mollò. – So anche che nessuno è stato in grado di risolvere la questione, da nessun punto di vista. Cosa è successo perché tutto si sia risolto così rapidamente e per il meglio?
Data si mise a spiegare, paziente.
– Dal momento che, come dice lei, nessuno è stato in grado di risolvere il mio problema, ho deciso di fare tutto da solo. Ho consultato tutto l’archivio medico, quindi sono passato all’archivio culturale ed è stato proprio lì che ho trovato la soluzione, un metodo che nessuno ancora aveva applicato su di me. Ho provato e ha funzionato.
-Davvero? – esclamò Riker e, punto da curiosità, chiese: – E posso chiederle la natura di questo rimedio miracoloso, che ha potuto di più di tutti gli esperti della Flotta Stellare?
– Certo che può, signore – rispose Data, senza accorgersi che quella di Riker era solo una richiesta pleonastica e che il primo ufficiale si aspettava comunque da lui una risposta.
– Non pensarci.
– Non pensarci? – gli fece eco Riker, incredulo.
– Sì – disse semplicemente Data. – Non ho pensato al malfunzionamento per circa un minuto e il problema si è risolto da solo.
– Che altro dire, Data? – concluse Riker, cercando invano di sopprimere un sorriso. – A lei il comando. Fine del turno di notte.
Si diresse verso il turboascensore ma un secondo prima di entrarvi si girò ancora una volta verso Data e aggiunse:
-… ma cerchi di non mettere più in subbuglio tutta la nave la prossima volta che le viene il singhiozzo!

© Elisabetta Vernier per la storia – 1996
© Paramount Pictures for all Star Trek names and characters.
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